domenica 23 maggio 2010

I pirati del tempo.

Per chi non lo avesse ancora capito, qualunque romanzo si riferisca a questa categoria eterna e dinamica, incastrata in un territorio ibrido fra la limitatezza della percezione fisica e l'infinitezza del sentire umano, desta in chi scrive un desiderio che sconfina nella bramosia.
Più che un romanzo, "I pirati del tempo" è in realtà un lungo racconto, scritto a quattro mani da Gianluigi Zuddas (oggi prevalentemente traduttore) e Luigi Cozzi (oggi prevalentemente regista e sceneggiatore). Pubblicato nel 1980 da Ugo Malaguti per i tipi della Libra Editrice, il volume fu il secondo (e a quanto ci risulta l'ultimo, purtroppo) dell'allora neonata collana "Narratori italiani di fantascienza", mirata a risollevare la fortuna degli autori nostrani.
Si tratta in buona sostanza della storia di un intervento, operato da una formazione proveniente dai "nostri" tempi, volto a impedire una drammatica modifica degli eventi storici, ossia il sovvertimento della cattiva sorte della "Armada Invencible" (la flotta di Filippo II d'Asburgo, che nella realtà fu infatti decimata da una serie di tempeste), con la conseguente vittoria della Spagna sull'Inghilterra protestante, nella guerra anglo-spagnola del 1584-1605.
C'è da tremare, al pensiero dei devastanti effetti che una ispanizzazione/cattolicizzazione globale, dunque ancor più spinta di quanto comunque avvenne, avrebbe avuto sul futuro del pianeta, non pensate anche voi?
I misteriosi antagonisti che intendono salvare la flotta spagnola provengono da un lontano futuro, collocato fra l'anno 4.000 e il 6.000, e per i loro scopi hanno a quindi disposizione strumenti tecnologici molto evoluti.
Il punto di vista della narrazione è quello de "La Perla", famosa ladra di gioielli della Londra del XVI secolo, che per la sua abilità viene arruolata nella fazione dei "buoni".
Gli ingredienti della narrazione sono tanto semplici quanto sapidi, e il risultato, come per le ricette di una volta, ha decisamente un buon sapore.
E' soprattutto la scelta di assegnare a una donna, forte, intelligente, indipendente e volitiva, il ruolo da protagonista usualmente riservato agli uomini (scelta inusuale sia per il contesto storico di riferimento che per il periodo di pubblicazione del romanzo), a determinare l'efficacia della narrazione. La scena iniziale si svolge nelle segrete sporche e mortali della Londra elisabettiana, rappresentata con dovizia di dettagli e competenza storica. Il linguaggio popolare della prima parte si affina quindi via via fino all'incontro con Hamilton e gli altri agenti temporali, che gli autori hanno reso con maestria, non rinunciando a ricalcare gli stereotipi linguistici e caretteriali tipici dei romanzi americani dell'epoca, ma anzi perseguendoli con sistematica consapevolezza (pur affinandone i tratti), tanto che facilmente si dimentica che "I Pirati del Tempo" è scritto da autori italiani.
Il lieto fine è scontato, la storia non è affatto originale, eppure questo romanzo non delude. Al contrario, appassiona e coinvolge. Il linguaggio è sobrio e lineare, e non nasconde lo sforzo costante, tipico dei traduttori di livello, di rendere sempre chiaro e comprensibile lo svolgersi delle scene e dei dialoghi.
Non si può non avvertire la mancanza di questo tipo di fantascienza, del modo in cui la si scriveva, e soprattutto del desiderio collettivo di leggerne.
E di scriverne.

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