mercoledì 21 gennaio 2009

Festival della Scienza di Roma - Giorno 3 (per me, l'ultimo)

Il terzo giorno al Festival (sabato 17 gennaio) è stato per me l’ultimo ed è stato molto breve. Peccato infatti che sia stato impossibile entrare in sala Petrassi, dove le sessioni erano davvero stimolanti. Tutto esaurito. Poco divertente anche aver visto entrare scolaresche del tutto (comprensibilmente) disinteressate agli argomenti trattati e molte persone che erano evidentemente lì perché non avevano nulla di diverso da fare, solo invogliate dal basso prezzo d’ingresso. A nulla è valso il mio parassitario appostamento ad una coppia di litigiosi fidanzati (lei lo ha obbligato a entrare con l’unico biglietto disponibile minacciando una lite furibonda e il poveretto non ha potuto che obbedire a malincuore) nella vana speranza che il biglietto andasse al prossimo bisognoso più vicino a loro (casualmente, il sottoscritto).
Che fare? Grazie a Radio Tre ho potuto ripiegare su un sunto degli eventi della giornata che è stato prodotto in occasione dei cinquanta minuti dello speciale sul festival di Radio Tre Scienza, in diretta dall’Auditorium.
Il primo ospite della trasmissione è stato il biologo evoluzionista messicano Antonio Lazcano (-l'ospite più a destra nella foto di sotto-che alle 15.00 sarebbe poi andato in sala Petrassi a presentare la sua sessione insieme a Scott Hubbard). Sapevate che Darwin era un ipocondriaco? E oggi la sua teoria dell’evoluzione si applica perfino al fenomeno dell’antibiotico-resistenza, che spiega la difficoltà attuale di cura delle epidemie di origine batterica. Lazcano è un convinto sostenitore della necessità di studiare l’RNA, fino ad oggi considerato fra le due grandi famiglie degli acidi nucleici come “il brutto anatroccolo” della genetica. Il successivo ospite è stato Carlo Rovelli (più a sinistra nella foto sotto), fisico, docente in Francia e direttore del gruppo di Gravità Quantistica, autore del libro Che cos’è il tempo, che cos’è lo spazio?”, Editore Di Renzo, che colpisce con la sua affermazione che “forse spazio e tempo non costituiscono la grammatica corretta per capire l’universo”. Secondo Rovelli inoltre la scienza deve tendere a mettere sempre in dubbio ciò che appare come la verità, e quindi è sempre ribellione all’ordine precostituito e fa paura a chi rappresenta l’autorità. A giudicare dalle vicissitudini passate da Galileo o Einstein non gli si può dar torto. Hanno chiuso la trasmissione Fernando Ferroni e Paolo De Bernardis. Ferroni, dell’Istituto Italiano di Fisica Nucleare e direttamente coinvolto nel progetto LHC (Large Hadron Collider) di Ginevra, che riferisce che in seguito al ben noto incidente consistente in un’esplosione conseguente a una fuga di elio dovrebbe riprendere a funzionare in autunno. Lo scopo dell’apparecchiatura è, oltre alla ben nota ricerca della dimostrazione dell’esistenza del bosone di Higgs, lo studio di materia ed energia oscura, che rappresentano ben il 96% dell’universo (più precisamente il 20% materia oscura e il 75% energia oscura). In altre parole, oggi conosciamo solo il 4% dell’universo. Infine Paolo De Bernardis che torna sul progetto BOOMERANG, su cui maggiori dettagli sono disponibili nella parte finale del precedente post sul giorno 2 del Festival.

sabato 17 gennaio 2009

Festival della Scienza, Auditorium Roma 15-18 gennaio - Giorno 1


La scienza è una delle due metà che formano la fantascienza; è vero per le parole, è vero nei fatti.
Si è aperto giovedì 15 gennaio a Roma il Festival della Scienza, dedicato quest’anno all’Universo. Ho assistito alla sessione delle 18.00, nella quale sono stati ricordati due grandi studiosi dell’Universo, Galileo Galilei (da parte di Enrico Bellone, fisico e ordinario di Storia della Scienza) e Albert Einstein (da parte di David Kaiser, USA, anch’egli fisico e storico della scienza), entrambi perseguitati dal potere politico del loro tempo. Mi è piaciuta l’osservazione del Prof. Bellone sulla profonda attualità della vicenda processuale di Galileo, con esplicito riferimento alle responsabilità attuali della Chiesa nei freni posti al progresso scientifico, essendo il Vaticano distante non più di sei chilometri dalla gremita Sala Petrassi dell'Auditorium della Musica di Roma, sede dell’incontro. Quest'anno cade il quattrocentesimo anniversario delle prime osservazioni compiute con il cannocchiale ad appena 8 ingrandimenti. Albert Einstein invece fu notoriamente perseguitato dai nazisti, i quali cercarono di screditare la teoria della relatività generale (fino al divieto del suo insegnamento nel 1933 in Germania) rallentandone la diffusione; ma non è forse altrettanto noto che che successivamente alla fine della seconda guerra mondiale fu sorvegliato e perseguitato dall’FBI statunitense per via della sua propensione pacifista, socialista e anti-maccartista (consigliata la lettura in merito di The Einstein File di F. Jerome). Sapevate poi che durante la I Guerra Mondiale la diffusione della teoria della Relatività Generale in Gran Bretagna avvenne grazie a Arthur Eddington, astrofisico, obiettore di coscienza (in quanto quacchero) e quindi “forzato” alla ricerca scientifica come Servizio Sostitutivo a quello Militare? (Ebbene sì, lì esisteva già allora). Lo scienziato inglese intratteneva infatti una fitta corrispondenza scientifica con Einstein consentita dal fatto che questi si recava spesso in Olanda, stato neutrale, da dove era in grado di comunicare con lui.
Una materia davvero affascinante, la storia della scienza.
Successivamente ho potuto assistere a una parte della coinvolgente presentazione del progetto Virtual Telescope nato nel settembre del 2006 da un’idea di Gianluca Masi, astrofisico e (grande e chiarissimo) comunicatore scientifico. Un uomo innamorato del suo lavoro. Il progetto consiste essenzialmente in un telescopio a controllo remoto, utilizzabile via Internet da ricercatori, curiosi e studenti.


l Festival delle scienze di Roma, giorno 2 – UNIVERSI PARALLELI? CHI HA DETTO CHE E' SOLO FANTASCIENZA?


Oggi, venerdì 16 gennaio, alle 16.00, in una sala Petrassi che continua ad essere stracolma (anche grazie alla saggia scelta di un costo di ingresso di 1 € - sì, non è un refuso, UN euro), Giulio Giorello ha introdotto la superba relazione di Alexander Vilenkin, Professore di fisica e Direttore dell’Istituto di Cosmologia dell’Università di Tuft (USA). Transfuga dall’URSS nel 1976 (perseguitato dal KGB, è proprio destino dei fisici essere oggetto di accanimento del potere di turno!), autore di “Un solo mondo o infiniti?” (Raffaello Cortina editore) è il principale assertore della teoria dell’inflazione cosmica di Alan Guth (1980). In sostanza per rispondere a quesiti rimasti senza risposta nella teoria del Big Bang la teoria inflazionaria ipotizza come matrice dell’universo uno stato di “falso vuoto”, ovvero una condizione di vuoto ad alta energia, avente altissima densità, e in cui la forza di gravità è esclusivamente repulsiva; si tratta di uno stato altamente instabile, che si espande per raddoppi successivi (l’inflazione cosmica) decrescendo in densità, energia e temperatura. Secondo la teoria, in questo falso vuoto, per effetto della natura quantistica-probabilistica del processo, non vi è un unico Big Bang ma bensì la formazione di diverse “bolle”, ciascuna delle quali origina un universo. Il numero di bolle è infinito, ma il numero di storie all’interno di una singola bolla, benché elevatissimo e difficilmente concepibile (10 alla 10 alla 150), è finito, in quanto frutto di probabilità quantistica. Insomma, il punto è che si teorizza così che in un numero infinito di universi vi sarà ogni possibile flusso storico (!). Si parla quindi del “multiverso” come matrice di infiniti universi; peccato solamente che non sia possibile alcuna interazione fra i vari universi. Solo una teoria? Tutt’altro; le osservazioni compiute dal satellite WMAP hanno dato conferma dell’imprint delle “bolle” nella radiazione cosmica di fondo.
Ora una parte molto interessante.
Poiché le variabili fisiche (particelle e quant’altro) nei vari universi avranno grandezze e valori diversi, solo in alcuni casi esse saranno tali da generare una chimica degli elementi che possa consentire la vita. Con buona pace dei creazionisti, che strumentalizzano e distorcono questa teoria affermando che il nostro universo, contenente la vita, non possa che essere il risultato di una scelta divina fra gli infiniti universi possibili. In realtà infatti, ogni singolo universo si genera dal falso vuoto nell’ambito di un processo che ha natura probabilistica, ed è pertanto causale per definizione, così come le sue caratteristiche, anche quando, come nel nostro caso, esse consentono la vita.
Alle 17.00 un rapido passaggio in Teatro Studio, dove Marcello Corradini, responsabile ESA delle missioni nel sistema solare apre con Francesco Trabucco, Professore di Design e Responsabile scientifico di Spacelab, una tavola rotonda cui partecipa anche Tommaso Pincio, scrittore, moderata da Sylvie Coyaud e introdotta da Vincenzo Vomero. Si discute la plausibilità di una prossima missione umana su Marte, con tutte le difficoltà del caso, mentre scorrono alle spalle dei conferenzieri le immagini di film, da “Flash Gordon alla conquista di Marte” del 1938 a “Pianeta Rosso” del 2000. Mi piace l’ottimismo di Corradini e Trabucco, che confidano che presto o tardi l’uomo metterà piede sul pianeta, perché è una cosa totalmente inutile e irrazionale, e perché “è nella natura dell’uomo fare cose irrazionali”.
Alle 18.00 infine di nuovo una Sala Petrassi gremita, dove trovo uno degli ultimi biglietti in galleria, per seguire la sessione presentata da Marco Cattaneo (Direttore di “Le Scienze”) che ha per relatori Paolo De Bernardis, Docente di Fisica alla Sapienza di Roma, e Max Tegmark cosmologo svedese, del Dipartimento di Fisica del MIT. Il Prof. De Bernardis è il responsabile del progetto Boomerang, ovvero di un esperimento di grande successo di osservazione stratosferica della radiazione cosmica di fondo con telescopio a micro-onde. Il pallone fu lanciato il 29 dicembre 1998 in Antartide. In questo modo De Bernardis è arrivato al limite estremo del passato dell’universo, ovvero a 14 miliardi di anni luce dalla terra. Fra pochi mesi l’osservazione sarà eseguita da satellite (progetto PLANCK), con ulteriore contenimento dell’interferenza ambientale. Max Tegmark lascia infine tutti con il fiato sospeso proiettando filmati e simulazioni con cui trascina l’intera sala in un vorticoso viaggio nel cosmo, e ricordandoci quanto poco sappiamo ancora delle meraviglie che ci ha mostrato, in particolare della materia oscura e dell’energia oscura.
I biglietti per le interessanti sessioni di domani, sabato, sono esauriti. Ma chissà.

venerdì 9 gennaio 2009

“L'intelligenza, senza la capacità di dare o ricevere affetto, porta alla nevrosi e forse anche alla psicosi…”

E’ davvero una delle letture migliori in cui ci si possa imbattere, il romanzo “Fiori per Algernon”, ricavato dall’omonimo racconto firmato dallo stesso autore.

Un po’ di storia, in breve. Il racconto originario fu pubblicato nel 1959 nella rivista The Magazine of Fantasy & Science Fiction e nello stesso anno vinse il Premio Hugo, che l’autore ricevette dalle mani di Isaac Asimov in persona, che si disse molto colpito dalla narrazione. Il successivo romanzo venne pubblicato nel 1966 e in questo formato la storia vinse anche il Premio Nebula. Da allora è stato tradotto e pubblicato in ogni angolo del pianeta. Per motivi che l’autore stesso non sa spiegarsi, il paese al mondo in cui ha avuto maggior successo è stato il Giappone.

Il protagonista è Charlie Gordon, uno sfortunato uomo affetto da una cerebropatia che rende la sua intelligenza simile a quella di un bimbo di pochi anni d’età. In seguito ad un rivoluzionario intervento neuro-chirurgico in cui accetta di prestarsi come cavia, Charlie subisce un’accelerazione del suo sviluppo cerebrale e aumenta progressivamente la sua intelligenza, arrivando a livelli inattesi di genialità. La storia è narrata parallelamente a quella di Algernon, un topolino di laboratorio su cui l’esperimento è stato condotto prima che sull’uomo.
Il romanzo descrive in forma di diario personale l’evoluzione del protagonista che si scopre a ricordare e rielaborare tutti i ricordi della sua infanzia e del periodo in cui era considerato un idiota dalla maggior parte di coloro che lo circondavano, e a vivere esperienze completamente nuove, fino a cimentarsi nel difficile rapporto con le donne.

Vi sono indubbiamente spunti provenienti dalla psicanalisi classica, verso i quali il lettore deve armarsi di indulgenza, e nei confronti di cui non si può non notare a tratti un tono critico. In un’intervista, disponibile in formato audio (vedere oltre) l’autore riconosce infatti che la teoria di Freud è ormai superata, ma attribuisce alla propria esperienza in psicanalisi la scoperta dell’inconscio come parte essenziale della comprensione del mondo, e fonte continua di immagini, che egli utilizzò per essere uno scrittore.
In effetti, si coglie nella commovente storia di Charlie un’interessante rappresentazione del binomio affetti/intelligenza, nel tentativo continuo e rischioso di dare una definizione dell’identità dell’essere umano.
Ed è così che Charlie, sviluppando sempre di più la sua intelligenza razionale, la conoscenza scientifica, la logica, sembra perdere progressivamente quelle capacità affettive che pur nel ritardo mentale erano prima integre, fin quasi ad essere spaventato dai limiti di un’intelligenza sì enorme, ma fredda e senza affettività.
E così, come un fiore che si schiuda via via nella lettura, si viene colpiti all’improvviso dall’intuizione dello scrittore, limpida come una corolla ormai spalancata, che si percepisce esser nata nel pieno scorrere della sua stessa composizione artistica:

"Gliela offro come un'ipotesi: l'intelligenza, senza la capacità di dare o ricevere affetto, porta a un tracollo mentale e morale, alla nevrosi e forse anche alla psicosi. E io dico che la mente assorta e chiusa in se stessa come un fine centrato nell'io, a esclusione dei rapporti umani, può condurre soltanto alla violenza e al dolore..."

Non si può non ravvisare in queste righe un’intuizione profonda sull’identità umana, che costringe ad un quesito fondamentale: è l’intelligenza, quella misurata dal Q.I., quella che Charlie vuole aumentare, a definire cosa sia un essere umano? O è tutt’altro?

Stilisticamente il libro cattura senza scampo e si consuma (purtroppo!) in poche ore.
L’io narrante trascina fra le righe e le pagine, il livello narrativo non cede mai alla banalizzazione, l’identificazione con il protagonista è necessaria, intensa, sconvolgente.
E al di là della critica che si potrebbe fin troppo facilmente muovere ad un pensiero di fondo esistenzialista che si può e si deve non condividere, l’autore arriva molto in profondità, e ci tocca dentro con una penna rapida e sottile che graffia, addolora e intenerisce.

La fantascienza che preferisco, quella che catturerà inesorabilmente anche il lettore non legato al genere, quella che non fa differenza fra un amante del fantastico e un lettore nel senso più classico e costringe a sentire, e pensare.

L’edizione italiana:
Daniel Keyes, Fiori per Algernon (tit. orig. Flowers for Algernon)
Traduzione di Bruno Oddera - ISBN 88-429-1381-2 2005 - Casa Editrice Nord - Milano

E ora qualche spunto decisamente interessante. L’autore (sito ufficiale qui) è tornato a trattare l’intramontabile vicenda alla base del romanzo nel più recente "Algernon, Charlie and I: A Writer's Journey", (qui).
A questo (Daniel Keyes Interview) indirizzo è inoltre possibile ascoltare un’intervista del 2000 a Daniel Keyes. L’autore svela alcuni interessanti retroscena della genesi della storia, avvenuta nel lontano 1959.
Ah, Vi prego di notare che Daniel Keyes è nato nel 1927.
La scintilla che accese la fantasia dell’autore è rappresentata da una serie di stimolanti aneddoti che dimostrano l’intima connessione fra la fantasia della creazione narrativa e la sua vita personale.
Mentre sin da bambino aveva sempre voluto essere uno scrittore, i suoi genitori desideravano che diventasse un medico, e così un giorno Daniel si ritrovò a sezionare un topolino in laboratorio. Con orrore, scoprì che il topolino, che era una femmina, era incinta di tre nascituri, e questo episodio lo sconvolse. Lo stesso giorno, durante la lezione di inglese, Daniel lesse poesie di Algernon Charles Swinburne, e fu colpito dalla stranezza del suo nome.
Ma la scrittura della storia era ancora molto lontana, e avvenne solo in seguito alla decisione di abbandonare definitivamente i detestati studi di medicina per essere un vero scrittore. Per poter avere una fonte di guadagno, Daniel fu insegnante di scrittura creativa a New York; parallelamente a questo corso gli vennero anche affidate due classi di studenti affetti da ritardo mentale. Fu in occasione di una lezione in una di queste che uno dei suoi studenti lo fulminò con la domanda: “Mister Keyes, questa è una classe per stupidi, non è vero?” che lo disarmò, e alla quale egli trovò enorme difficoltà a rispondere; lo stesso ragazzo disse poi che lui avrebbe voluto essere intelligente, e chiese se, qualora lo fosse diventato, fosse possibile esser trasferito in una classe normale. Daniel sentì quanto il ragazzo tenesse a diventare intelligente. Ancora oggi, l’autore afferma che senza quella domanda, che lo toccò così profondamente, il racconto (e quindi il romanzo) non sarebbe mai nato.

Ecco che nella realtà da cui è stata tratta la finzione narrativa ritorna prepotentemente la domanda di sopra: cosa rende l’essere umano tale? La sua intelligenza o piuttosto il desiderio di essa, l’aspirazione ad essa? Perché Charlie, che tutto sommato vive tranquillo e accudito da chi gli vuol bene, pretende di essere intelligente? E perché lo studente di D. Keyes si alzò per fare quella domanda?

Da una storia così coinvolgente non potevano non essere tratti adattamenti cinematografici e televisivi, pochi per la verità disponibili in italiano.
Il primo fu il film “Charlie”, del 1968, con Cliff Robertson (Oscar 1968 come miglior attore protagonista), che in realtà seguì la serie TV del 1961 con lo stesso attore (“The two worlds of Charlie Gordon”); in seguito, nel 2000, il film TV “Flowers for Algernon”, prodotto dalla CBS, con Matthew Modine come protagonista. Nell’intervista citata, Daniel Keyes afferma di essersi commosso nella visione di quest’ultimo adattamento, con il quale sostiene sia stato catturato il vero spirito della storia.