domenica 1 agosto 2010

Marina.

Sentire il desiderio di scrivere, dopo aver voltato l’ultima pagina di Marina, è un po’ come aver ancora voglia di far l’amore, dopo una notte con una donna che se ne è andata per la sua strada.
A questo punto, come in una recensione che si rispetti, bisognerebbe specificare che il romanzo, come scrive Carlos Ruiz Zafon nella prefazione, fu concepito come storia “per ragazzi” e quindi pubblicato la prima volta nel 1999, ben prima dei due capolavori più noti (L’Ombra del vento e Il gioco dell'angelo), e che solo ora è stato liberato dai vincoli che lo assoggettavano in toto a un precedente editore.
Non ci dilungheremo oltre su questi aspetti tutto sommato poco rilevanti, se non per un dettaglio, ovvero l’idea che si tratti di un “romanzo per ragazzi”. Una definizione che, ben lungi dall’essere il limite di questo libro, ne nasconde in realtà il punto di massima forza.
Marina è un romanzo fantastico, e in questo senso non può non collocarsi nella consueta atmosfera gotica che inumidisce il colletto del lettore usando tanto la nebbia di Barcellona quanto il sudore delle potenti emozioni vissute dai protagonisti, dal gelido terrore fino alla calda infatuazione per una donna dolce e misteriosa, attraversando con disinvoltura maestra tutti gli strati dell’umana sensibilità.
Ma in realtà, questo romanzo è prima di tutto una straziante, dolorosa, intensa, e travolgente storia d’amore.
Vissuta con immensa solitudine, e raccontata con la forza dell’io narrante che ritroveremo ne Il Gioco dell’Angelo. In effetti, si comprende subito che fra le pagine di Marina vari elementi del romanzo successivo hanno la loro più autentica origine.
Mi riferisco soprattutto alla caratterizzazione (perché di questo a tutti gli effetti si tratta) della “casa”.
La grande villa aristocratica barcellonese (abbandonata misteriosamente e quindi riattata dal protagonista ne Il Gioco, trascurata invece per la povertà dei proprietari caduti in disgrazia in Marina) è l’epicentro dell’intera vicenda; la scoperta del palazzo avvolto da un tenebroso giardino che nasconde oscuri segni di vita è l’incipit di un viaggio di esplorazione, che porterà a scoperte imprevedibili e spaventose. La casa che sopravvive alle generazioni, che invecchia ma non muore, che osserva il mondo mutare e con esso muta, che vive delle emozioni dei suoi abitanti e recita la parte inquieta e prepotente di un personaggio muto ma tutt’altro che silenzioso.
È infatti nella casa che Oscar, il protagonista “ragazzo”, si imbatte dapprima in German, un uomo dalle maniere antiche, perfetta espressione della decadenza della sua dimora, e dotato di un fascino che conquista il giovane; e poi, nella figlia di questi, Marina, che lo strappa all’improvviso dalla quotidianità per trascinarlo ad osservare la strana scena che si svolge nel vecchio cimitero di Sarrià, dove un’anziana signora si reca regolarmente. Da qui parte una complessa investigazione nel corso della quale, con tempi invidiabili dal miglior teatro, faranno la loro comparsa fantasmi del passato della città, pupazzi mostruosi, giornate di pioggia, e notti di sogni inquieti. Una storia presente, e un’altra passata che si sviluppa al suo interno, che vi terranno ben desti fino ai rispettivi e sovrapposti epiloghi.
Con la sua ormai ben nota e straordinaria capacità (di cui la massima espressione è L’Ombra del Vento) di tessere svariate trame parallele e trasversali, e di metter in bocca ai suoi protagonisti decine di versioni diverse dello stesso fatto, tutte egualmente plausibili, costringendo il lettore a ricominciare ogni volta daccapo nella ricostruzione degli eventi, e schiaffeggiandolo con colpi di scena a non finire, il livello di attenzione si mantiene costantemente sulla soglia fra sorpresa e brivido.
Le lettere si sciolgono, la carta scompare fra le dita, le parole si fondono in puro movimento, immagini di vita interiore.
Ma a colpirvi con la forza di un liquido bollente che risale dal basso ventre al cuore, fino a far esplodere un cervello ormai fuori uso, conducendovi a bagnare fazzoletti e singhiozzare come bimbi, sarà l’amore di un ragazzo per una ragazza, e tutto quel che ne conseguirà.
E questo è precisamente il tratto distintivo di Marina. Ciò che rende questo romanzo diverso dagli altri, e che a un tempo ne fa la madre delle donne di tutte le altre storie di Zafon.
L’immagine di donna di un ragazzo appena adolescente. Graffiante, morbida e fatale.
Un romanzo che obbliga ad essere ragazzi. Che aiuta a ritrovarsi, a ricostruire, ad essere. Perché dipinge il sogno vissuto di un Primo Amore che segna in modo indelebile un’identità maschile, al momento della “visione dell’essere umano diverso”. Un amore che fa il passaggio all’essere uomo, senza delusione, fino in profondità. Fino alla creazione di un ricordo che è ben più di una figura umana collocata nel passato, ed è fantasia pura, “capacità di immaginare”, libertà di essere in rapporto con la parte migliore del mondo. Nel presente e nel futuro.
Alla ricerca dell’Oscar Drai che è in ognuno di noi.


P.S.
Con grande piacere segnalo in quest'occasione un eccellente sito: http://zafon.splinder.com/ che trovo particolarmente in sintonia con le immagini dell’autore, e che ho incontrato causalmente durante la ricerca di quest'oggi. Mi ci sono perso…

1 commento:

Silvia Azzaroli ha detto...

Ciao Francesco, ho trovato la tua recensione per caso, "sfogliando" quelle su anobii di questo bel libro e mi sono ritrovata in tutto quello che hai scritto o quasi, soprattutto quando parli di emozioni forti.
Ti lascio qui la mia:
http://enchantedforest81.blogspot.com/2009/10/marina-un-oceano-di-emozioni.html

p.s: casomai non mi riconosci, sono Silvia Azzaroli su facebook, salutoni e complimenti per il bel blog!