martedì 18 giugno 2013

L'ultimo volo di Guynemer.

Chi Vi scrive ha sempre subito la fascinazione delle storie basate sul viaggio nel tempo. Quando ho iniziato a leggere il romanzo di Enrico Di Stefano, vincitore quest’anno del Premio Vegetti per il miglior romanzo di fantascienza, scoprire che la trama ruota (anche) intorno a questo tema è stata una piacevole sorpresa. Ma “L’ultimo volo di Guynemer” (Edizioni della Vigna, qui) non si può certo ridurre a questo. 
Il romanzo, scritto con la sobrietà e la scorrevolezza che sono qualità indispensabili del libro che non ti permette distrazioni troppo lunghe dalla lettura, è uno di quei rari esempi in cui l’ibridazione fra elementi storici e fantastici è riuscita in modo avvincente.
Siamo, almeno all'inizio, nel 1881. In un misterioso “non-luogo”, che ha inizialmente le sembianze di un’isola che echeggia (e forse è) la leggendaria "Isola di Buss", si ritrovano la corazzata Caio Duilio (la prima in assoluto della lunga serie di navi italiane con questo nome), universalmente nota ai tempi come la “nave da guerra più potente del mondo”, l’aviatore francese Georges Guynemer (personaggio storico scomparso proprio nel periodo in cui il romanzo è ambientato) e un vascello leggero, il Gropius, proveniente da un futuro remoto in cui la Terra è regredita ad uno stadio a bassa tecnologia in conseguenza di una catastrofe ambientale su scala planetaria. Ai fini della storia lo scopo della Duilio, nave al cui fascino l’autore non è indifferente e che svolge un ruolo quasi di co-protagonista femminile assieme all’asso transalpino, è una missione internazionale di soccorso di un piroscafo in arrivo negli USA, il Great Britannia, dichiarato disperso nell’Atlantico Settentrionale. L’autore, per inciso, mostra di padroneggiare a dovere la conoscenza della marineria e dell’aviazione a cavallo fra il XIX e XX secolo.
La sapiente miscelazione della compunta atmosfera vittoriana con l’amarezza del grande asso solitario che proviene dal futuro in guerra a bordo del suo SPAD, il Vieux Charles, e la freschezza di un giovane equipaggio proveniente dal Norrland (la futura Scandinavia) si traduce in un’ambientazione riuscita in maniera originale, che oscilla di continuo fra un’accurata ricostruzione (fanta)storica, lo steampunk, il romanzo storico romantico e l’ucronia. C'è insomma, come l'autore confessa in sede di post-fazione, il buon aroma di Giulio Verne, fra queste pagine.
Ma il punto di forza di questa storia, come di tutte le buone storie, sono i personaggi che, nonostante la necessaria molteplicità, sono abbastanza ben caratterizzati da restare facilmente individuabili per tutta la narrazione. Cito a titolo di esempio il fiero comandante Bandieramonte, il cinico statunitense, Douglas, l’eccentrico scienziato Carpentier, ma soprattutto i tre giovani e vitali giornalisti (che nella miglior tradizione letteraria diventano poi quattro) che sono invaghiti della stessa donna, la quale (non a caso il suo nome è Elena e in questo caso le citazioni letterarie arrivano a livelli omerici) è l'indiretta e involontaria causa della spedizione di soccorso che avvia la narrazione. Si tratta di personaggi che ruotano intorno al protagonista, il romantico aviatore la cui sparizione è tuttora un mito per i francesi, con una grazia e un'umanità che vanno spesso al di là del ruolo di semplici comprimari.

Chiudiamo questa recensione più che mai positiva menzionando il non troppo velato nazionalismo che anima il racconto: nella nave Duilio, frutto dell’arte navale di un Regno d’Italia appena plasmato dal Risorgimento, fusione perfetta di forza e bellezza, di agilità e potenza, non è difficile leggere il rimpianto per un amor proprio nazionale di cui oggi si sente, purtroppo a ragion veduta, una gran mancanza.
Un Premio Vegetti meritatissimo.

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